
CRITICA
Virgì Bonifazi | 1974
Muti incontri di donne, operai, gruppi di famiglie, nelle quali lo studio della figura, chiusa serrata e resa essenziale, ben si accorda alla stasi che le grava intorno.
Giovanni M. Farroni | 1976
[...] La cui pittura non è fatta di sottintesi, ma di immagini vere, quelle di tutti i giorni, vicine alla realtà in cui viviamo.
Rosanna Ricci | 1977
La peculiarità della sua pittura sta soprattutto nel messaggio umano; la plasticità ed essenzialità delle forme è valorizzata dal segno, sempre energico ed incisivo e dall'uso dell’oro che illumina il cupo cromatismo ed incendia di significato il racconto.
Leda Gaudioso | 1981
Pittura leggibile e densa di contenuto culturale ed ideologico sorretta da un talento ben meritevole di attenta considerazione, figure che rappresentano il suo passato a cui appartiene di più, con le quali riesce a rappresentare il suo io profondo.
Sandro Genovali | 1983
La cultura visiva che sta dietro a questo stile è evidente: da una parte Giotto ed i quattrocentisti, dall'altra i pittori che come Rosai e Carrà si rifanno volutamente a questa lezione.
M. Grazia Ciacci | 1984
L'arte di Rabini è definibile in termini di un sincretismo composto al tempo stesso di fissa monumentalità, che giunge a bloccare la forma al punto di consentirle di articolarsi nella vicenda plastica e chiaroscurale.
Fabio Toccaceli | 2002
È l’artista che assomma in sé, più di ogni altro, i caratteri della cultura e della società cameranese. La sua è una pittura concettuale, con la quale esprime l’età aurea di un paese perduto, la Piana il suo cuore, il canto delle Laude il soffio che vivifica la memoria di una società sacrale in oblio. Rabini dipinge un paese riconoscibile attorno alla sua torre campanaria, dove la religiosità è quotidianità, vissuta da figure immote sulla via, nel lavoro, nei giochi dei fanciulli, nei discorsi delle donne, nei piedi ammollo per la fatica: è un percorso nella sua fanciullezza e nella giovinezza, dove l’odore dell’incenso si confonde con il profumo di una minestra attesa invano. Un’ampia foglia d’oro, che tutto racchiude, da il senso della pienezza, del valore assoluto, della preziosità della religiosità, in un magico affresco dugentesco e ne conserva intatta la dolcezza del ricordo.
Fabio Toccaceli | 2006
A Roberto Rabini dobbiamo soprattutto riconoscenza ed affetto, perché nell'arco della sua vita di pittore e di poeta ci ha fatto tante volte sognare e spesso anche pregare. Nei dipinti e disegni, dagli Anni Sessanta fino ad oggi, è possibile leggere un mondo infinito di segni e di simboli, che esaltano ancora una volta la sua funzione di mediatore tra Dio e l’uomo attraverso l’uso della materia della tavola o della tela, delle paste colorate. Indubbiamente non mancano, sul piano estetico, i richiami al racconto murale trecentesco ed ai tratti della fioritura gotica e rinascimentale marchigiana che da sempre hanno fornito gli stilemi dell’intera sua opera pittorica, e neppure l’oro, che sapientemente utilizzato e incastonato, rimane un elemento essenziale e caratterizzante. Ogni sua opera è stata creata per lo stupore, per la meraviglia. Ogni sua opera è una via simbolica alla bellezza, capace di mettere insieme, di fare uno da due e quindi di unire l’uomo a Dio, la terra al cielo, l’esistenza terrena a quella celeste, l’anima al corpo, la vita alla morte, il finito all'eterno, l’immagine alla parola, la parola al gesto, la creatura al suo creatore. In Rabini, l’arte è bellezza e la bellezza rimanda a Dio. In Rabini, la bellezza può ancora salvare il mondo. Ogni sua opera è, quindi, iconica, vera porta della bellezza, attraverso la quale il visibile conduce all'invisibile e l’invisibile si fa visibile. L’arte diventa amore”.